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Proposizione 198

«Io conosco la deformazione che in seno alla mafia è stata data alla parola “uomo”: i mafiosi si ritengono uomini e, addirittura, “uomini d’onore”. Se c’è qualcuno che, invece, non è uomo è il mafioso e se c’è qualcuno che non ha onore è il mafioso: i mafiosi non sono uomini e i mafiosi non hanno onore; questo dobbiamo dirlo tranquillamente con tutta la comprensione e la pietà»[1]. Sono le parole di Mons. Italo Calabrò, Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova, pronunciate il pomeriggio del 2 agosto 1984 a Lazzaro (RC), dove la sera del 27 luglio precedente era stato rapito, vicino al campo sportivo del paese, Vincenzo Diano, un bambino di neppure undici anni. Dal palco montato nella piazza principale, davanti ad un migliaio di persone radunate, don Italo parla a nome della Chiesa locale: «Siamo qui per stabilire un costume di non violenta ma ferma opposizione alla mafia in tutte le sue manifestazioni, non offrendo nessuna protezione – Dio non voglia certamente – nessuna complicità o approvazione […] Siamo qui per condannare il male e non lo facciamo in termini generici […] Siamo qui per condannare, questa sera, ogni male, ma in modo speciale la mafia, la nostra mafia o ‘Ndrangheta, che dir si voglia, della nostra Calabria e vogliamo, dinnanzi alla comunità nazionale ed alla comunità ecclesiale, dire che noi intendiamo isolare tutti coloro che hanno scelto la via dell’odio, la via della violenza, la via della rapina e non vogliamo e non possiamo confonderci con loro […]: quella gente è gente che oggi in mezzo a noi esprime il potere di Satana, il regno del male. Con quel regno del male e delle tenebre non vogliamo confonderci, vogliamo isolare questa parte infetta della nostra realtà calabrese»[2]. Sono espressioni di un uomo di Chiesa che per l’intera sua vita ha lottato per le strade, nelle piazze, nelle scuole per indirizzare i giovani verso il bene, spingendoli a guardare i bisogni degli ultimi, aggregandoli in nuove esperienze associative, spronandoli ad operare nel tessuto sociale della città di Reggio Calabria, dando loro, con il suo esempio, energia e speranza. In queste parole, profetiche ed anticipatrici di quelle dell’Episcopato Calabro, riportate nel documento Testimoniare la verità del Vangelo. Nota pastorale sulla ‘Ndrangheta del 2014, sono espresse alcune linee fondamentali da tenere ancora oggi contro questa associazione malavitosa:

  • ferma opposizione e condanna contro la mentalità mafiosa, in tutte le sue manifestazioni;
  • nessun tentennamento da parte dei componenti delle nostre comunità, con manifestazioni di protezione, complicità o sottile approvazione nei confronti delle famiglie ‘ndranghetiste. Ognuno abbia il coraggio, ad esempio, di rifiutare il loro denaro;
  • isolare coloro che hanno scelto di vivere e praticare l’odio e la violenza;
  • rispondere come comunità e con una sola voce al tentativo dei malavitosi di imporre, con la paura e le armi, la loro supremazia, rimanendo accanto a coloro che sono vittime della violenza: “Ora ammazzateci tutti!”;
  • testimoniare con la nostra vita i principi del Vangelo, opponendoli alla logica di sopraffazione e di morte, opera del maligno.

[1] R. Arena – P. Bottero – F. Chirico – C. Riso – A. Russo, La ‘Ndrangheta davanti all’altare, Sabbia Rossa Ed., Reggio Calabria 2013, p. 158.

[2] Ibidem, p. 157.