La cultura in cui siamo immersi, protesa all’immediato ed al rapido raggiungimento dei propri scopi di efficienza e di guadagno, non si basa più sul concetto di “cura”, ma sul concetto di “scarto”. Lo scarto è il prodotto del consumo; quando non c’è più niente da consumare si produce lo scarto. Applicato all’ambito umano questo concetto produce una conclusione terribile: le persone non sono più un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri – o “non servono più” – come gli anziani o gli ammalati.
Di fronte alle problematiche che la coscienza dei credenti incontra alle due soglie dell’esistenza, la nascita e la morte, la pastorale della salute nella nostra Diocesi deve proporre all’attenzione di tutti la necessità di accompagnare e favorire la vita, proteggendone le fragilità. Essa deve promuovere nel nostro territorio la logica di uno sviluppo umano integrale, dal concepimento al fine vita, che si fonda sul concetto di “cura”: curare la vita dal suo naturale sorgere fino al suo naturale spegnersi. Questo concetto è l’unico che rappresenta un antidoto efficace contro la tentazione del “non servire ancora”, del “non servire più”, che molte volte colpisce anche molti credenti.