La santità, comune vocazione di tutti nella Chiesa, consiste essenzialmente nella unione con Cristo, nella realizzazione della figliolanza divina ricevuta come pegno nel Battesimo. La santità è vivere, riempiti dei doni dello Spirito, per la gloria di Dio[1]. Vivere da figli di Dio non vuol dire solamente entrare in una relazione personale con il Padre, ma vuol dire anche vivere da fratelli: «L’amore ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica l’uomo esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza. Gesù ci ha detto: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8)»[2]. A questo proposito occorre ribadire che essere tutti fratelli non è solo un mero desiderio intellettuale o uno sterile concetto lessicale. Essere fratelli vuol dire “rimanere unanimi e concordi, avere un medesimo sentire”; questo è ciò che rende piena la gioia di san Paolo (cfr. Fil 2,2). Papa Francesco sottolinea un aspetto negativo affermando: «Non ci fa bene guardare dall’alto verso il basso, assumere il ruolo di giudici spietati, considerare gli altri come indegni e pretendere continuamente di dare lezioni. Questa è una sottile forma di violenza»[3]. Vivere da fratelli con coerenza vuol dire essere santi e il cristiano santo è gioia che cammina per le strade del mondo. Il santo non è un triste, acido, malinconico; il santo trasmette gioia[4]; il malumore non è segno di santità[5]. Il Signore ci vuole positivi, grati e non troppo complicati, con uno spirito flessibile[6]. Questa non è la gioia consumistica, ma la gioia che si vive in comunione, che si condivide e si partecipa e che rende capaci di gioire per il bene degli altri[7]. Ecco allora delineato il volto della Chiesa che si vuole far emergere per il futuro del popolo di Dio che vive e cresce in questo territorio della Piana: una Chiesa della gioia; una Chiesa «comunità chiamata a creare quello spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore Risorto»[8]; una Chiesa comunità che «custodisce i piccoli particolari dell’amore»[9]; una Chiesa controtendenza, dove la libertà di proclamare la verità diventa stile di vita e sigillo della Spirito; una Chiesa che non resti paralizzata dalla paura e dal calcolo, che non si limiti a camminare soltanto entro confini sicuri, che non si lasci irretire dalle abitudini e che non si rassegni nel dire che non ha senso cambiare le cose. È necessaria una Chiesa che si lasci «risvegliare dal Signore»[10], perché diventi una Chiesa liberata dall’inerzia e rianimi il «coraggio apostolico di comunicare il Vangelo agli altri e di rinunciare a fare della nostra vita un museo di ricordi»[11]. Aneliamo ad una comunità ecclesiale che testimoni la verità dell’incontro con il Risorto, la sua fede in Lui e che indichi in questo rapporto l’unica fonte della sua gioia; una gioia che, riempiendo la vita dei discepoli, diventa gioia missionaria[12].
[1] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, nn. 39-40.
[2] Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti, n. 95.
[3] Francesco, Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, n. 117.
[4] Cfr. Ibidem, n. 122.
[5] Cfr. Ibidem, n. 123.
[6] Cfr. Ibidem, n. 127.
[7] Cfr. Ibidem, n. 128.
[8] Ibidem, n. 142.
[9] Ibidem, n. 145.
[10] Ibidem, n. 137.
[11] Ibidem, n. 139.
[12] Cfr. Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 21.