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Proposizione 64

La bellezza della liturgia si basa sulla nobile semplicità. «La bellezza non è quella seducente, che allontana dalla vera meta cui tende il nostro cuore inquieto: è invece la “bellezza tanto antica e tanto nuova” che Agostino confessa come oggetto del suo amore purificato dalla conversione: la bellezza di Dio […]. È la bellezza di fronte alla quale “l’animo avverte una certa nobile elevazione al di sopra della semplice predisposizione al piacere sensibile” (Immanuel Kant, Critica del giudizio, § 59). Non si tratta quindi di una proprietà soltanto formale ed esteriore, ma di quel momento dell’essere a cui alludono termini come gloria (la parola biblica che meglio dice la bellezza di Dio in quanto manifestata a noi), splendore, fascino: è ciò che suscita attrazione gioiosa, sorpresa gradita, dedizione fervida, innamoramento, entusiasmo; è ciò che l’amore scopre nella persona amata, quella persona che si intuisce come degna del dono di sé, per la quale si è pronti a uscire da noi stessi e giocarsi con scioltezza»[31]. Possiamo, dunque, affermare che la liturgia è bella non quando diventa ricercatezza oltremodo fantasiosa, sfilata di moda, danza intorno al vitello d’oro che siamo noi, ma quando rivela la bellezza stessa di Dio, la sua carità. Per salvaguardare la bellezza liturgica è necessario evitare nelle nostre comunità la sciatteria, il disordine, la sporcizia e l’impresentabilità delle vesti liturgiche, dei vasi sacri, l’arte mediocre, il canto ripetitivo e senza vita, la frettolosità e la calcolabilità del tempo. La bellezza della liturgia ci ricorda che essa non dipende da noi, dai nostri gusti, dalle nostre predisposizioni, ma dipende unicamente dalla presenza di Dio, che si manifesta nella sua semplicità e nella sua solennità come si mostrò a Mosè nel roveto ardente. La bellezza nel culto è quindi non arbitrarietà, ma umile obbedienza al rito romano. Agli operatori liturgici si rivolge, dunque, un unico e pressante invito: fate solo e tutto ciò che è scritto nel rito, poiché esso non è una gabbia che imprigiona, ma il modo con cui siamo raggiunti da Dio per essere santificati ed è il modo comunitario con cui la Chiesa rende culto al Padre. Così afferma la Sacrosanctum Concilium quando vuole spiegare come si entra nel mistero di Cristo: «Per ritus et preces»[32]. Sì, attraverso i riti e le preghiere della Chiesa si entra nel mistero di Cristo, per diventare veri adoratori del Padre.


[31] C. M. Martini, Lettera pastorale alla Chiesa di Milano. Quale bellezza salverà il mondo?, Milano 1999.

[32] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 48.