La bellezza delle celebrazioni eucaristiche domenicali e festive va curata in modo particolare: anche i segni e i gesti esteriori sono indicativi della presenza di Dio e non possono essere intesi come una costruzione umana o lo sfogo dell’egocentrismo di chi presiede l’assemblea liturgica. I segni e i gesti siano, dunque, veri e non artefatti, dignitosi ed espressivi, perché possano aiutare a cogliere le profondità del mistero che nascondono. La celebrazione ha un ritmo che non tollera né fretta né lungaggine e chiede equilibrio tra parola, canto e silenzio. Cosa mostrerà della bellezza di Dio una comunità dove la liturgia disdegna il silenzio e dove il cronometro diventa la preoccupazione fondamentale? Cosa mostrerà di Dio che si rivela e davanti al quale si sta alla sua presenza un celebrante che non ricorda più cosa siano le mani giunte o che a stento rende percepibile che le sue braccia allargate sono il segno del perenne atteggiamento orante del popolo santo di Dio? Cosa percepiranno di Dio presente in mezzo al suo popolo i nostri fedeli se fare un inchino al nome di Gesù diventa per alcuni quasi un “abominio” o se inginocchiarsi è diventato un optional, persino da molti sconsigliato? Come si pretende che sia evangelizzatrice una liturgia dove le troppe parole tolgono il fiato alla Parola, dove viene tacciato come mero ritualismo inchinarsi alle parole della consacrazione pur di mostrare il pane e il calice in maniera quasi teatrale, invece di riconoscere che quelle parole sono santissime e per questo si china il capo pronunciandole? Cosa mostrerà della bellezza di Dio e come aiuterà i credenti a percepirne la presenza una liturgia dove anche i presbiteri, qualche volta, trasformano le celebrazioni in un set cinematografico, dove il telefonino cede il posto a qualsiasi esigenza di orazione pur di pubblicare, mentre ancora si sta officiando, l’ultimo scatto sensazionale, o dove la processione d’ingresso invece di manifestare l’Incarnazione di Cristo in mezzo al suo popolo sembra trasformarsi in una passerella dove saluti e scambi di parole non contribuiscono certo a entrare nello spirito vero della liturgia? Tutto questo è sufficiente per aiutarci a comprendere quale grande cambiamento di passo occorre fare nella nostra Chiesa diocesana perché la liturgia torni a essere veramente Epifania di Dio.