Altro male da cui allontanarsi è la chiusura e l’indifferenza verso le persone. Oggi più che mai i fedeli hanno bisogno di sentirsi accolti, conosciuti, ascoltati; ma molte volte trovano davanti a loro dei muri, costruiti con la scusante della mancanza di tempo da parte dei sacerdoti. È vero che in questi ultimi anni i preti hanno visto moltiplicarsi i loro impegni, ma l’attivismo esasperato non può portare a trascurare le vere necessità degli uomini del nostro tempo: il presbitero deve dare la possibilità del dialogo a tutti per conoscere l’animo dei fedeli, per riportare gli smarriti a Cristo e per versare sulle loro ferite il balsamo della sua grazia. Le nostre Chiese si svuotano, forse, perché i Parroci rimangono troppo poco tempo a disposizione nelle Parrocchie: poco disposti a mettersi seduti a confessare, ascoltare, consolare e incoraggiare, e troppo poco inclini ad abbracciare chi, pentito di una vita condotta nel peccato e nella lontananza da Dio, vuole tornare a Lui. Anche sotto questo aspetto il modello è Cristo. L’amore di Gesù verso gli esseri umani è universale: ha amato tutti gli uomini. Ma amando tutti, li ha amati singolarmente presi. Cristo non ha amato un’umanità astratta o una classe sociale o un popolo soltanto: ha amato tutti e ciascuno in particolare, singolarmente. Il sacerdote può arrivare ad amare la Parrocchia astrattamente, ritenendola come cosa di sua proprietà da utilizzare per il rendiconto personale. La formazione permanente, spirituale e umana, deve portare il prete alla consapevolezza che la Parrocchia nella sua realtà è formata dai singoli fedeli che la compongono: bisogna amarli uno ad uno come Cristo, fino a dare la vita per loro, sia che siano belli o brutti, simpatici o antipatici, docili o recalcitranti, santi o peccatori. Gesù gli uomini non li ha amati perfetti: basta considerare il collegio apostolico dove ha trovato posto un traditore, un rinnegatore, diversi zeloti e tutti codardi, tranne uno, di fronte alla croce; li ha amati così com’erano, senza illusioni. Li ha amati perfino nel loro peccato: è l’accusa che gli fanno i suoi avversari: «Va a mangiare con i peccatori e le prostitute» (Mt 9,11). I peccatori gli possono andare vicino perché Egli li ascolta e li accetta con le loro miserie e, a chi lo rimprovera, dice: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Lc 5,31). È così che il sacerdote deve amare la sua Parrocchia: il suo destino eterno si gioca qui: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare […] Venite benedetti del Padre mio […]. Avevo fame e non mi avete dato da mangiare […] Lontano da me, maledetti […]». Quando, Signore? Quando lo avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, al più povero d’intelligenza, al più emarginato dalla società, al più ottuso nello spirito, al più deforme nel corpo, lo avete fatto a me! (cfr. Mt 25,34-46). Ogni prete si dovrà chiedere: ho riconosciuto Cristo nell’ultimo dei miei parrocchiani: bambino, malato, povero? Sono forse stato gretto, chiuso e ostinato così da non vederlo e rifiutarlo? È una verità da richiamare ogni giorno, questa, per vedere concretamente nei fratelli, in chi gli sta accanto, in chi si è chiamati ad accostare e accompagnare nel duro cammino della fede, il Dio Creatore, Redentore, Santificatore.