Questo Santo Sinodo sente di dover esprimere la gratitudine di tutta la comunità cristiana della Diocesi per il servizio prezioso che esercitano i nostri preti, reso spesso in condizioni difficili e sempre meno riconosciuto socialmente. Senza sacerdoti le nostre comunità presto perderebbero la loro identità evangelica, quella che scaturisce dall’Eucaristia, che solo attraverso le mani del presbitero viene donata a tutti. Essi esistono per rinnovare e manifestare la presenza di Cristo nella Chiesa e nel mondo: il sacerdozio è tutto qui, innestato sulla Pasqua di immolazione e di risurrezione di Cristo; esso, dunque, deriva dal sacrificio ed è per il sacrificio, per la salvezza delle anime. Il prete è coerente con se stesso se tende al sacrificio, consapevole che la sua funzione di mediatore tra Dio e gli uomini, come Gesù, egli la può realizzare solo con il sacrificio personale: è una contraddizione vivente un sacerdote che, essendo nel segno eucaristico un sacrificatore, non è insieme e prima un sacrificato, agendo in Persona Christi. Essenza del sacerdozio non è la carriera o la soddisfazione personale, ma è la croce; è l’ansietà per il bene delle anime; è vedere non la Chiesa piena, ma quelli che in Chiesa non ci sono; è constatare che nonostante l’azione pastorale, anche ben condotta, i battezzati non frequentano o, se anche lo fanno, non diventano migliori. Non cadano i nostri sacerdoti nello scoraggiamento spirituale se non riscontrano risultati immediati per la loro azione pastorale: sostenuti umanamente e dalla preghiera delle comunità, in comunione di vicinanza e confronto con il Vescovo, continuino nella loro preziosa missione, con la consapevolezza che se non c’è chi semina non ci sarà neppure chi raccoglie. Ma l’entità e la bontà del raccolto non dipendono da loro, ma da Cristo Signore.