«In una società dell’abbondanza, la povertà non si misura solo in base al reddito di cui si dispone o al livello di vita di cui si gode. Ma vi è pure una povertà che si riferisce alle condizioni di vita, al fatto di sentirsi respinti dall’evoluzione, dal progresso, dalla cultura, dalla responsabilità. La povertà non è solo quella del denaro, ma anche la mancanza di salute, la solitudine affettiva, l’insuccesso professionale, l’assenza di relazioni, gli handicap fisici e mentali, le sventure familiari e tutte le frustrazioni che provengono da una incapacità di integrarsi nel gruppo umano più prossimo. In definitiva, il povero è colui che non conta nulla, che non viene mai ascoltato, di cui si dispone senza domandare il suo parere e che si chiude in un isolamento così dolorosamente sofferto che può arrivare talora ai gesti irreparabili della disperazione»[1].
La nostra Chiesa deve diventare strumento di Dio per la liberazione dei poveri ed ascoltare il loro grido di aiuto. La fedeltà a Cristo ed al suo Vangelo deve spingere ogni suo componente ad attivare azioni che vadano contro le logiche di potere, che escludono da uno sguardo di interesse le persone che non contano nulla. Per l’uomo contemporaneo, molte volte corrotto dall’avidità del denaro e del successo, «non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo»[2].
Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium dà a queste azioni un nome preciso: inclusione sociale dei poveri[3] per un nuovo umanesimo, capace di esprimere la sua novità e la sua validità oggi rispetto sia all’esclusione dalla vita sociale, ma anche rispetto alla logica della separazione e della contrapposizione. Il principio da applicare è quello evangelico dell’incontro. Al n. 272 di Evangelii Gaudium ci viene ricordato che fuggire gli altri, nascondersi e negarsi alla relazione sono modi attraverso i quali si sceglie di vivere una vita comoda e non evangelica. Queste modalità sono espressione di una mentalità mondana molto diffusa, che cerca solo il possesso e, se non riesce a dominare, mette in atto strategie di rifiuto ed eliminazione.
L’emarginazione dei poveri è frutto di questo modo di agire. Cosa viene chiesto alla nostra Chiesa? Di vivere sostanzialmente il Vangelo e di assumere lo stesso atteggiamento di Cristo: vale a dire, di uscire dalle nostre comode sacrestie per ricercare il bene e la realizzazione di tutti[4], assumendo il punto di vista dei poveri ed ascoltando il loro grido di aiuto, come fa Dio. La loro inclusione per la nostra Diocesi non è un’operazione di carattere sociologico, bensì è l’impegno a restituire ad essi, nel nostro territorio, la dignità che gli è stata sottratta.
[1] Paolo VI, Lettera alla 57a Settimana Sociale di Francia (24 maggio 1970) in L’Osservatore Romano del 2 luglio 1970.
[2] Francesco, Messaggio per la Quaresima 2017.
[3] Cfr. Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 186-216.
[4] Cfr. Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 39.