«L’azione caritativa può e deve abbracciare tutti gli uomini e tutte quante le necessità. Ovunque vi è chi manca di cibo, di bevanda, di vestito, di casa, di medicine, di lavoro, di istruzione, dei mezzi necessari per condurre una vita veramente umana […], la carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo loro aiuto […]. Affinché tale esercizio di carità possa essere al di sopra di ogni critica e appaia come tale, si consideri nel prossimo l’immagine di Dio secondo cui è stato creato, e Cristo Signore, al quale è veramente donato quanto si dà al bisognoso; si abbia estremamente riguardo della libertà e della dignità della persona che riceve l’aiuto; la purità d’intenzione non sia macchiata da ricerca alcuna della propria utilità o da desiderio di dominio; siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia; si eliminino non soltanto gli effetti, ma anche le cause dei mali; l’aiuto sia regolato in tal modo che coloro i quali lo ricevono vengano, a poco a poco, liberati dalla dipendenza altrui e diventino sufficienti a se stessi»[1].
L’azione della Caritas diocesana e delle singole Caritas parrocchiali deve essere improntata a questi principi. Si tratta di declinare anche nella nostra terra in tutte le situazioni particolari e nelle diverse modalità di relazione con i poveri ed i bisognosi la parola “Amore”, che Papa Francesco abbina con un aggettivo che la qualifica e la rende estremamente concreta: “Amore sociale”. È una forza che non ha bisogno di programmi o di indicazioni cattedratiche, né tanto meno di futili ed inutili burocrazie, che spesso scoraggiano gli stessi operatori della Caritas.
L’amore sociale è «la forza capace di suscitare nuove vie per affrontare i problemi del mondo di oggi e per rinnovare profondamente dall’interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici»[2]. L’amore sociale ci permette di progredire verso una civiltà alla quale tutti siamo chiamati. La carità è un amore efficace che, con il suo dinamismo, è capace di creare strade nuove per raggiungere tutti, aiutandoci a scoprire, vivere e testimoniare il Vangelo.
Ad ognuno di noi viene chiesta una maggiore attenzione verso chi ci sta accanto, cogliendo i segni di disagio ed offrendo vicinanza morale e concreta.
Da qui l’impegno a costruire legami sociali, mettendoci in gioco per realizzare opere di solidarietà e di prossimità, di sostegno e di fraternità. Questo si può realizzare. «È possibile cominciare dal basso e, caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito. Cerchiamo gli altri e facciamoci carico della realtà che ci spetta, senza temere il dolore o l’impotenza, perché lì c’è tutto il bene che Dio ha seminato nel cuore dell’essere umano»[3].
La carità vera deve animare le nostre azioni: una carità che trascenda la pura dimensione filantropica e che trova la sua fonte in Dio, da amare sopra ogni cosa, e che ha come oggetto il prossimo, da amare come noi stessi. Non importa se ai più questo progetto per lo sviluppo dell’umanità verso la fraternità universale possa sembrare «un’utopia d’altri tempi […], fantasie» perché «riconoscere ogni essere umano come fratello o sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie»[4]. Noi «non possiamo rinunciare a questo altissimo obiettivo»[5]: avere Dio nel cuore e farci prossimi all’umanità per creare legami di fraternità.
[1] Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Apostolicam Actuositatem, n. 8.
[2] Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti, n. 183.
[3] Francesco, Lettera Enciclica Fratelli tutti, n. 78.
[4] Ibidem, n. 180.
[5] Ibidem, n. 190.