L’eguale dignità delle persone richiede che si giunga a una condizione più umana e giusta della vita. Infatti, le troppe diseguaglianze economiche e sociali suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale e all’equità di trattamento degli uomini e delle donne del nostro territorio. Sono come delle ferite profonde inferte alla nostra gente che, troppo spesso, perde la speranza nel futuro.
Per curare queste ferite la nostra Chiesa si deve fare portatrice di un messaggio di amore e vicinanza a chi subisce torti senza avere la possibilità di difendersi, ma soprattutto deve ribadire alcuni principi che da duemila anni rappresentano il cuore dell’insegnamento cristiano: il primo di questi è che il lavoro è al servizio dell’uomo e non il contrario. In una lettera scritta da Giorgio La Pira ad Amintore Fanfani si legge: «Caro Amintore, tutta la vera politica sta qui: difendere il pane e la casa della più gran parte del popolo italiano […]. Il pane (e quindi il lavoro) è sacro: la casa è sacra: non si tocca impunemente né l’uno né l’altra. Questo non è marxismo: è Vangelo»[1]. Il lavoro è sacro e occuparsi di esso non significa essere marxisti, ma significa prendere molto sul serio il Vangelo. È credere, prima di tutto, a quello che Gesù ci ha insegnato e cioè che occorre sempre dare la giusta mercede agli operai «perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,10).
Questo non vuol dire soltanto dare un giusto salario, ma soprattutto riconoscere, nella sua totalità, la dignità umana di ogni lavoratore che, prima di essere tale, è una creatura voluta da Dio a sua immagine e somiglianza, chiamata a santificare la propria vita anche attraverso il lavoro. Troppo spesso nella nostra terra questo insegnamento viene calpestato: non soltanto nei confronti degli immigrati, stagionali o stabili, che lavorano dalle 10 alle 12 ore al giorno negli agrumeti o nelle piantagioni di kiwi per una misera paga, ma anche nei confronti di giovani uomini e donne, padri e madri di famiglia, che, pur di lavorare e mantenere i propri cari, accettano stipendi da fame senza veder rispettata la loro dignità. Il tutto nell’indifferenza generale: si conosce ogni cosa, ma nessuno interviene.
La nostra comunità diocesana deve assumere la sua dimensione profetica: alzare la voce per la salvaguardia e la valorizzazione della persona umana: essa è intangibile non perché ha un valore economico, ma perché è sacra agli occhi di Dio. La difesa della vita di un uomo o di una donna viene prima di tutto: essa è incalpestabile sia davanti ai progressi della scienza e della tecnica e sia davanti al sistema economico-produttivo, che non può ridursi a considerare l’uomo o la donna come un semplice ingranaggio di un meccanismo atto a produrre un profitto. La nostra Chiesa locale sia mossa sempre e comunque da questo sacro principio: la difesa della dignità di ogni uomo e di ogni donna che vivono nel nostro territorio.
[1] Lettera di Giorgio La Pira ad Amintore Fanfani del 28 febbraio 1955.