«È proprio della persona umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non mediante la cultura […]. Con il termine generico di “cultura” si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza ed il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l’andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano»[1]. L’annuncio del Vangelo di Cristo raggiunge l’uomo nella sua propria cultura, che permea la sua maniera di vivere la fede e, a sua volta, da essa è progressivamente modellato.
Oggi, in un mondo scristianizzato come il nostro, è necessario svolgere questo annuncio, passando da una pastorale di conservazione dell’antica tradizione cristiana plurimillenaria a una pastorale di nuova evangelizzazione, che tenga conto delle mutate condizioni culturali, perché «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta»[2]. Compito essenziale della pastorale della cultura è quello di restituire l’uomo nella sua pienezza di creatura, costituita a immagine e somiglianza del suo Creatore, allontanandolo dalla tentazione di considerarsi autonomo ed indipendente da Lui, come sta accadendo anche nella nostra terra. Evangelizzare, per la nostra Chiesa, significa riportare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità della Piana, e, con il suo influsso, tentare di trasformare dal di dentro questa stessa umanità: si tratta di rendere nuovi i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita, che sono in contrasto con la Parola di Dio e con il disegno della salvezza. Occorre, dunque, rivitalizzare non in maniera decorativa, quasi passando una mano di vernice superficiale, ma in modo vitale e in profondità, fino alle radici, la cultura del nostro territorio, partendo dall’uomo e tornando sempre ai rapporti degli uomini tra di loro e con Dio. Solo così si potrà superare la rottura tra Vangelo e cultura, che è senza dubbio il dramma del nostro tempo.
[1] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et Spes, n. 53.
[2] Giovanni Paolo II, Lettera autografa di Fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura, 20 maggio 1982, in AAS, 74 (1982), pp. 683-688.