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Proposizione 197

La cultura ‘ndranghetista, che si è prodotta lungo il corso del tempo nel nostro territorio, influenza fortemente la vita sociale, basando il suo condizionamento sia sull’intimidazione e sulla forza delle armi che sul ruolo economico raggiunto attraverso il riciclaggio del denaro sporco: gli individui e le comunità, il mercato economico e la politica, le attività imprenditoriali e lo sport risentono inesorabilmente della sua presenza[1]. La sua logica è quella del “divide et impera”: l’isolamento di chi sarebbe disposto ad opporsi alla schiavitù mafiosa è il primo passo che viene compiuto. Per far questo qualsiasi mezzo è ritenuto lecito: il ricatto, la violenza fisica o morale, le minacce esplicite o con utilizzazioni di simboli (teste mozzate di maiali o di capretti, bossoli di pistola inviati per posta o lasciati sui cruscotti delle macchine o davanti l’uscio di casa, colpi di pistola sparati alle saracinesche delle attività commerciali o alle porte delle abitazioni, ecc.). Così la ‘Ndrangheta si è imposta ed ha prodotto, dal suo nascere, una serie di norme e di pseudo valori che hanno dato luogo ad un vero e proprio processo di istituzionalizzazione, che in molti dei nostri paesi è diventato la forma di regolazione sociale più efficace e importante. Tale regolazione di vita tende a sostituirsi a tutte le altre forme, anche a quelle statali[2]. Questa organizzazione malavitosa è riuscita a costruire un impero economico che dalla Calabria gli ha consentito di dilagare in tutta Italia e nel mondo intero, fino a farne la struttura mafiosa più potente al mondo[3].

La domanda che ci si pone è: come è stato possibile che una terra tanto ricca di tradizioni e di valori improntati al cristianesimo, come la nostra, abbia potuto far nascere e sviluppare un’organizzazione così contraria ai principi del Vangelo? La risposta non è né facile né scontata. La posizione della Chiesa nei confronti del fenomeno ‘ndranghetista non sempre si è contraddistinta per coerenza e fermezza. ‘Ndrangheta e alcuni membri della Chiesa hanno percorso un tratto della propria storia non solo non intralciandosi vicendevolmente ma, a volte, aiutandosi reciprocamente e ognuno per il proprio tornaconto: la ricerca del consenso ai fini del controllo sociale. La Chiesa continua ad essere nel nostro territorio una delle maggiori agenzie in grado di fornire consenso e, sicuramente, non si è resa conto di essere tirata in ballo in questo gioco di interessi da parte di un’organizzazione che ha finalità completamente opposte alle sue: tutto ciò fino ad un’epoca abbastanza recente.

Si è prodotto, dunque, una sorta di sincretismo di modelli culturali opposti, che ha portato alla commistione tra religione e ‘Ndrangheta. Anche oggi gli appartenenti a questa associazione mafiosa mostrano una forte dedizione verso la religione cattolica, partecipando ai suoi riti e alle sue cerimonie, mutuandone utilitaristicamente le simbologie e aderendo al suo sistema sacramentale. Battesimi, matrimoni, funerali, processioni appaiono essere, ancor prima che strumenti di salvezza e segni visibili di fede vissuta, eventi pubblici e passaggi obbligati grazie ai quali uomini e donne dell’universo mafioso stringono alleanze, rinnovano patti e/o pretendono deferenza e rispetto[4]. D’altro canto, la Chiesa, per la formazione nella e della fede dei suoi componenti, ha utilizzato (e forse continua ancora ad utilizzare) una catechesi che ha favorito la commistione tra sacro e ‘ndranghetistico: una catechesi tendente solo a trasmettere il corpo delle verità di fede, che formano la dottrina cristiana: il suo campo preferenziale di riferimento sono i bambini e i ragazzi; suo strumento privilegiato è il catechismo, che presenta la sintesi dei principi da imparare a memoria, ma non investe la vita e il comportamento dei credenti. Questo particolare modello di catechesi ha consentito alla cultura ‘ndranghetista di poter adattare a se stessa, facendone uno stravolgimento totale, i contenuti trasmessi dalla Chiesa, visto che la conoscenza della dottrina è sufficiente a fare di chi la conosce un buon cristiano: si può, dunque, essere buoni cristiani e mafiosi allo stesso tempo, perché l’essere credenti nulla ha a che fare con la testimonianza, nella propria vita, dei principi evangelici.

Questo è il meccanismo perverso da debellare: urge una nuova forma di catechesi, che, partendo dall’iniziazione cristiana dei fanciulli, fin dalla più tenere età, e coinvolgendo i loro genitori nella riscoperta di Cristo, loro Salvatore, porti alla crescita di nuovi uomini e donne, rinati nel Battesimo, che sappiano opporsi alla logica della morte propugnata dalla ‘Ndrangheta e siano in grado, con il loro impegno e la loro testimonianza di fede, di dare un contributo concreto per la costruzione di una società dove il rispetto della vita e della dignità di ogni uomo si imponga e dove l’amore e la carità evangelici vengano veramente vissuti, per impedire, così, alla mala pianta della ‘Ndrangheta di crescere e prosperare nella nostra terra.


[1] Cfr. Relazione della Direzione Investigativa Antimafia del dicembre 2013.

[2] Cfr. E. Ciconte, ‘Ndrangheta, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, Catanzaro 2008.

[3] Cfr. Relazione della Direzione Investigativa Antimafia del dicembre 2014.

[4] Cfr. A. Dino, La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa Nostra, Edizione Laterza, Bari 2008.