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Proposizione 200

La ‘Ndrangheta, in quanto sistema di potere, si sviluppa anche grazie ad una sua prassi pedagogica: essa, infatti, è stata capace nel corso del tempo di elaborare, verificare e mettere a punto nuove strategie educative. Le caratteristiche del codice culturale mafioso, che ispirano e compenetrano l’educazione ‘ndranghetista, sono le seguenti: autoritarismo, familismo amorale, maschilismo, rispetto assoluto dell’omertà, enfatizzazione dell’onore, svalutazione del valore del lavoro, prevalenza del linguaggio della violenza, parodia strumentale di credenze e riti cattolici, adozioni di ideali borghesi (assolutizzazione del profitto, arrivismo, individualismo concorrenziale, sfruttamento delle fasce deboli della società, diffidenza verso i meccanismi della partecipazione democratica). La pedagogia ‘ndranghetista, come ogni pratica pedagogica efficace, ha tre caratteristiche:

  • è integrale: tende, cioè, a formare tutto l’uomo. Non è da confondere con la mera istruzione conoscitiva: essa, infatti, non si rivolge astrattamente alla mente, ma coinvolge l’affettività, la volontà, l’inconscio. Propaga visioni del mondo e pregiudizi, massime di vita e manipolazioni storiche e, in ultima analisi, vuole raggiungere la radice esistenziale degli individui, là dove maturano opzioni di fondo e scelte definitive;
  • è territoriale: destinatari delle sue attenzioni sono non solo i minori, ma tutti gli abitanti di un intero territorio. Il sistema di potere mafioso funziona, infatti, se giovani e anziani, maschi e femmine, agiati proprietari e proletari disoccupati condividono la stessa cultura della sudditanza nei confronti di una realtà che, per quanto sia costituita da volti precisi ed identificabili, si compiace di presentarsi impalpabile ma onnipotente, innominata ma onnipresente, segreta ma onnisciente. La stessa violenza ‘ndranghetista non è mai gratuita: mira a colpirne uno per educarne cento;
  • è contestuale: ha la capacità di interagire con i contesti culturali in cui l’organizzazione è geograficamente e storicamente inserita: può assimilare alcuni elementi (credenze, miti, simboli, proverbi, consuetudini, istituzioni), stravolgerne strumentalmente altri, produrne di nuovi, con il risultato di unire la continuità dell’identità tradizionale con l’adattamento alle mutate condizioni socio-culturali.

Quella impartita ai giovani è un’educazione totale, in cui «azioni, senso ed etica assumono le spiegazioni attribuite dai clan, da ritenere esaustive ed impermeabili ad interpretazioni diverse, derivanti dalla ragione o dalla religione o dal senso comune»[1]. Non c’è alcuna possibilità di emancipazione o di raggiungimento del proprio io, nessuna autocritica o ripensamento del modello ai quali si ispirano gli ‘ndranghetisti. Perché il modello per loro non è criminale: infatti, ciò che per noi sono leggi dello Stato per loro sono parole vuote, incomprensibili.

«È un’educazione performante quella che impartisce la ‘Ndrangheta, al punto che i suoi componenti intendono come “bene” ciò che per gli altri è inteso come “male”. Siamo di fronte ad un’educazione totale, perché totale è il controllo operato da parte di chi educa e totalizzanti sono i metodi ed i significati che trasmette a chi viene educato»[2]. Tutto questo a cominciare dalla culla: «Vardati ‘stu figghiu meu quant’esti bellu, comu somigghia a lu so papà, teni l’occhiuzzi i malandrineddu, cori i stu cori beddu da mammà; stammi a sentiri figghiuzzu caru, chi orfaneddu nescisti già, u patri toi ti l’ammazzaru, cu tradimentu e ‘nfamità; e fai la ninna e fai la nanna. E fai la ninna e fai la nanna. E tu t’ha fari randi, prestu hai a crisciri, sferri e cuteddi sempri hai maniari, l’onuri da famigghia hai manteniri, figghiuzzu a to patri l’hai vindicari; dammi perdunu i sti paroli, ma non mi pozzu rassegnari, cacciami st’odiu chi tegnu ‘nto cori, figghiu a to patri l’hai vendicari. E fai la ninna e fai la nanna. E fai la ninna e fai la nanna»[3]. È una madre che canta, la sera, nel suo abito nero da lutto, al figlio ancora innocente. Canta, piange e prepara la sua vendetta. Piange e chiede perdono per queste sue parole, ma non si può rassegnare. È il figlio che, una volta cresciuto, deve scacciare dal cuore della madre l’odio che sente in petto. E c’è un solo modo: uccidere chi ha ucciso suo padre. A questo sventurato progetto “dis/educativo” la nostra Chiesa deve rispondere con la semina dei buoni semi del Vangelo per far crescere alberi che, a suo tempo, daranno buoni frutti.

Occorre ripartire dalle famiglie, dove si formano le persone fin dalla più tenera età: è stando vicini ad esse e aiutandole concretamente che potremo porre un argine alla dilagante fioritura della criminalità organizzata. Alla logica dell’odio e della morte si deve opporre la scuola dell’amore e del perdono cristiano con la possibilità della riabilitazione per chi, essendo rimasto invischiato in quella logica e volendone uscire, chiede il perdono di Dio: «L’annuncio consapevole del Vangelo, mentre stigmatizza tutte le azioni ignominiose ed immorali, non esclude mai nessuno dalla possibilità di riabilitazione, mediante la riscoperta e la promozione del Sacramento della Penitenza-Riconciliazione, spesso sottovalutato da tanti fedeli»[4].


[1] G. Panizza, La ‘Ndrangheta come luogo di educazione totale, in Gli asini, Anno Scolastico 2010-2011, p. 58.

[2] Ibidem, p. 59.

[3] D. Siclari, La musica della mafia. Best of Uomini d’Onore, 2009.

[4] Conferenza Episcopale Calabra, No ad ogni forma di mafia!, Arti Poligrafiche Varamo, Polistena 2021, n. 7.