La ‘Ndrangheta, in quanto sistema di potere, si sviluppa anche grazie ad una sua prassi pedagogica: essa, infatti, è stata capace nel corso del tempo di elaborare, verificare e mettere a punto nuove strategie educative. Le caratteristiche del codice culturale mafioso, che ispirano e compenetrano l’educazione ‘ndranghetista, sono le seguenti: autoritarismo, familismo amorale, maschilismo, rispetto assoluto dell’omertà, enfatizzazione dell’onore, svalutazione del valore del lavoro, prevalenza del linguaggio della violenza, parodia strumentale di credenze e riti cattolici, adozioni di ideali borghesi (assolutizzazione del profitto, arrivismo, individualismo concorrenziale, sfruttamento delle fasce deboli della società, diffidenza verso i meccanismi della partecipazione democratica). La pedagogia ‘ndranghetista, come ogni pratica pedagogica efficace, ha tre caratteristiche:
Quella impartita ai giovani è un’educazione totale, in cui «azioni, senso ed etica assumono le spiegazioni attribuite dai clan, da ritenere esaustive ed impermeabili ad interpretazioni diverse, derivanti dalla ragione o dalla religione o dal senso comune»[1]. Non c’è alcuna possibilità di emancipazione o di raggiungimento del proprio io, nessuna autocritica o ripensamento del modello ai quali si ispirano gli ‘ndranghetisti. Perché il modello per loro non è criminale: infatti, ciò che per noi sono leggi dello Stato per loro sono parole vuote, incomprensibili.
«È un’educazione performante quella che impartisce la ‘Ndrangheta, al punto che i suoi componenti intendono come “bene” ciò che per gli altri è inteso come “male”. Siamo di fronte ad un’educazione totale, perché totale è il controllo operato da parte di chi educa e totalizzanti sono i metodi ed i significati che trasmette a chi viene educato»[2]. Tutto questo a cominciare dalla culla: «Vardati ‘stu figghiu meu quant’esti bellu, comu somigghia a lu so papà, teni l’occhiuzzi i malandrineddu, cori i stu cori beddu da mammà; stammi a sentiri figghiuzzu caru, chi orfaneddu nescisti già, u patri toi ti l’ammazzaru, cu tradimentu e ‘nfamità; e fai la ninna e fai la nanna. E fai la ninna e fai la nanna. E tu t’ha fari randi, prestu hai a crisciri, sferri e cuteddi sempri hai maniari, l’onuri da famigghia hai manteniri, figghiuzzu a to patri l’hai vindicari; dammi perdunu i sti paroli, ma non mi pozzu rassegnari, cacciami st’odiu chi tegnu ‘nto cori, figghiu a to patri l’hai vendicari. E fai la ninna e fai la nanna. E fai la ninna e fai la nanna»[3]. È una madre che canta, la sera, nel suo abito nero da lutto, al figlio ancora innocente. Canta, piange e prepara la sua vendetta. Piange e chiede perdono per queste sue parole, ma non si può rassegnare. È il figlio che, una volta cresciuto, deve scacciare dal cuore della madre l’odio che sente in petto. E c’è un solo modo: uccidere chi ha ucciso suo padre. A questo sventurato progetto “dis/educativo” la nostra Chiesa deve rispondere con la semina dei buoni semi del Vangelo per far crescere alberi che, a suo tempo, daranno buoni frutti.
Occorre ripartire dalle famiglie, dove si formano le persone fin dalla più tenera età: è stando vicini ad esse e aiutandole concretamente che potremo porre un argine alla dilagante fioritura della criminalità organizzata. Alla logica dell’odio e della morte si deve opporre la scuola dell’amore e del perdono cristiano con la possibilità della riabilitazione per chi, essendo rimasto invischiato in quella logica e volendone uscire, chiede il perdono di Dio: «L’annuncio consapevole del Vangelo, mentre stigmatizza tutte le azioni ignominiose ed immorali, non esclude mai nessuno dalla possibilità di riabilitazione, mediante la riscoperta e la promozione del Sacramento della Penitenza-Riconciliazione, spesso sottovalutato da tanti fedeli»[4].
[1] G. Panizza, La ‘Ndrangheta come luogo di educazione totale, in Gli asini, Anno Scolastico 2010-2011, p. 58.
[2] Ibidem, p. 59.
[3] D. Siclari, La musica della mafia. Best of Uomini d’Onore, 2009.
[4] Conferenza Episcopale Calabra, No ad ogni forma di mafia!, Arti Poligrafiche Varamo, Polistena 2021, n. 7.