«Al termine di ogni tappa è importante verificare che le finalità proprie di quel particolare periodo educativo siano state conseguite, tenendo conto delle periodiche valutazioni, preferibilmente semestrali o almeno annuali, che i formatori redigeranno per iscritto. Il raggiungimento dei traguardi formativi non deve essere necessariamente legato al tempo trascorso in Seminario e soprattutto agli studi compiuti. Non si deve, cioè, arrivare al sacerdozio solo in ragione del susseguirsi di tappe poste in successione cronologica e stabilite in precedenza, quasi “automaticamente”, indipendentemente dai progressi effettivamente compiuti in una complessiva maturazione integrale; l’ordinazione, infatti, rappresenta la meta di un cammino spirituale realmente compiuto, che, gradualmente, abbia aiutato il seminarista a prendere coscienza della chiamata ricevuta e delle caratteristiche proprie dell’identità presbiterale, consentendogli di raggiungere la necessaria maturità umana, cristiana e sacerdotale. Alla comunità dei formatori è richiesta coerenza e oggettività nella periodica valutazione integrale dei seminaristi»(1) . Allo stesso tempo «al seminarista è richiesta docilità, revisione costante della propria vita e disponibilità alla correzione fraterna, per corrispondere sempre meglio agli impulsi della grazia»(2) .
Per aiutare i giovani a crescere nella maturità umana, spirituale e caritativa, in questa fase della formazione sono previsti i tirocini pastorali. I seminaristi sono assegnati a delle Parrocchie della Diocesi di appartenenza o a delle Parrocchie di Diocesi diversa dalla loro per vivere e operare nelle comunità: affiancati e guidati dai Parroci, essi entrano in relazione con i fedeli che le formano e che si attendono da loro un annuncio forte e una testimonianza viva, ma che restituiscono a loro anche buoni esempi ed esperienze positive che, assorbiti dai giovani, rimarranno basilari per il futuro. Proprio per questo motivo, si rende necessaria una rimodulazione del tempo da dedicare al tirocinio pastorale: mantenendo l’attività scolastica così come è oggi, si consenta ai seminaristi di partire verso le Parrocchie assegnate il sabato mattina, per poter preparare insieme ai Parroci gli incontri pomeridiani, e di ritornare in Seminario il lunedì mattina in tempo per le lezioni, facilitando, così, l’uso dei mezzi pubblici per il rientro. La scelta dell’esperienza pastorale dei seminaristi sia dettata da criteri che tengano conto dell’inclinazione personale e vocazionale del candidato, nonché delle esigenze di rafforzamento e supporto dei punti deboli nella sua formazione.
In tal senso, il Seminario, oltre alla Parrocchia, valorizzi tutte le forme concrete delle realtà ecclesiali. Si faccia anche in modo che attraverso il tirocinio pastorale, come all’interno della stessa comunità seminariale, siano valorizzati ed esercitati i diversi ministeri. Percorsi di tirocinio pastorale siano quindi pensati specificatamente per aiutare all’esercizio dei ministeri del lettorato e dell’accolitato. Per quest’ultimo ministero, strutture come le Carceri, gli ospedali, le case di cura per anziani o altre strutture caritative, saranno altrettanto utili alla formazione del futuro presbitero. Piuttosto la Diocesi affidi a una parrocchia (che non sia la propria di origine) o a una comunità caritativa il candidato al presbiterato durante i mesi estivi, ricordando che il tirocinio pastorale non si risolve nel “fare” ma nell’“osservare” la vita dei preti, loro futuri confratelli, e delle comunità in cui si vive e si annuncia il Vangelo.
[1] Paolo VI, Ministeria quaedam, V; I ministeri nella Chiesa, n. 58; Evangelizzazione e ministeri, n. 64; Codice di Diritto Canonico, Can. 1035.
[1] Ivi.