La nascita di un figlio con disabilità genera in una coppia un senso di impotenza, che spesso finisce per sconvolgere gli equilibri e talvolta schiacciare le famiglie abbandonate a loro stesse, sia per la poca attenzione sugli altri e sia per il disinteresse da parte delle Istituzioni. Nella nostra realtà spesso non è facile accettare un figlio disabile: sono sconvolte tutte le attese genitoriali di procreare un figlio sano, sono venuti meno i desideri e le aspettative che si sono proiettati su di lui durante l’attesa. Sembra difficile divenire una famiglia come le altre, si è incapaci di accettare la fragilità. La Chiesa stia accanto alle famiglie che vivono queste problematiche e le aiuti a camminare nella fede per riconoscere e garantire il valore di ogni vita, con i suoi bisogni e le sofferenze, ma anche con i diritti e le opportunità che da essa scaturiscono per divenire migliori.
Da qui l’indicazione e l’impegno ineludibile: queste situazioni ci invitano ad essere accoglienti anche se le cure e i servizi sicuramente mettono in gioco la pazienza, la carità, la misericordia nell’accettare e condividere la vita e l’integrazione delle persone fragili.
La comunità cristiana dovrebbe supportare la famiglia nello scoprire «nuovi gesti e linguaggi, forme di comprensione e di identità, nel cammino di accoglienza e cura del mistero della fragilità» e aiutarla in quel complesso percorso che le permetterà di cogliere la fragilità «come un dono e una opportunità» (Amoris laetitia,n. 47) per crescere nell’amore e nella dedizione all’altro nel reciproco aiuto.