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Proposizione 127

«La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»[1]. È l’incontro con Cristo, dunque, che determina l’essere cristiano: l’uomo che si accosta a Gesù scopre il motivo vero della gioia che sgorga nel suo cuore: l’essere amato. E l’amore è “effusivum sui”, tende a diffondersi: chi ha sperimentato l’amore sprizza gioia da tutti i pori. Domandiamoci: la nostra Chiesa locale è luogo attraente di gioia? Le nostre comunità trasmettono il gaudio dell’incontro con Cristo? Il singolo battezzato che vive la sua fede è testimone di gioia? Si può essere cristiani, infatti, senza aver mai incontrato Cristo sul serio. Lo si può fare perché si è entrati nella logica di una dottrina, magari imposta o accettata tradizionalmente per convenzione sociale, ma non si è mai fatto un incontro personale con il Signore. In questo caso il Vangelo si è ridotto ad essere semplicemente una raccolta di massime o di precetti morali che non causano gioia. Per chi, invece, ha fatto esperienza dell’incontro con Cristo il Vangelo è una persona portatrice di gioia, quella vera, quella che scaturisce dall’Amore della Trinità, manifestato in pienezza dalle parole e dalle opere di Gesù. Poiché nessuno può dare ciò che non ha, si rende necessaria nella nostra realtà diocesana una prima e fondamentale conversione ad intra: reincontrare Cristo, sorgente della vera gioia.

È oltre modo urgente favorire questo nuovo incontro in qualsiasi maniera e con gli strumenti oggi messi a nostra disposizione, adeguandosi ai tempi, alle diverse età dei soggetti interessati e ai differenti contesti delle nostre comunità parrocchiali. Solo così all’uomo e alla donna della Piana, cercatori di felicità come tutti gli altri uomini e donne, potremo dare una risposta con la nostra testimonianza vissuta: “la gioia è Cristo; io l’ho sperimentata; io ti posso accompagnare da Lui, perché anche tu la possa sperimentare”. Ed è grazie a questa comunicazione che possiamo uscire dalla nostra autoreferenzialità e giungere ad essere pienamente umani. «È certo che l’uomo può escludere Dio dall’ambito della propria vita. Ma questo non si verifica senza conseguenze gravissime per l’uomo stesso e per la sua dignità di persona. L’allontanamento da Dio porta con sé la perdita di quei valori morali che costituiscono la base ed il fondamento della convivenza umana. E la sua assenza produce un vuoto che si pretende di colmare con una cultura – o meglio, pseudocultura – incentrata sul consumismo sfrenato, nell’ansia di possedere e godere, e che non offre altro ideale se non la lotta per i propri interessi ed il piacere narcisista»[2]. La missione della nostra Chiesa deve stimolare, dunque, gli uomini e le donne a cui si rivolge ad un continuo pellegrinaggio, che li conduca, attraverso i vari deserti della loro vita e le varie forme di fame e sete di giustizia, fino ad arrivare a gustare la gioia dell’amore di Dio, che sola può realizzare la loro esistenza.

[1] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, n. 1.

[2] Giovanni Paolo II, Omelia durante la S. Messa nel Santuario della Madonna “de la Cinta” a Huelva (Spagna), 14 giugno 1993, AAS 86 (1994), pp. 270-276.